domenica 19 maggio 2013

Drakon Vandreilis Asuth - Nicholas Mercurio

Legendary Fantasy Contest!


Drakon Vandreilis Asuth

Le ere, gli eoni e il corso delle epoche scorrevano come il fiume in una gola, seguendo il corso delle leggende antiche di Cairs Orfen: storie irte di mistero, meraviglia e magia. Molte di esse, almeno la maggior parte, venivano raccontate ai bambini, quando ancora erano in fasce oppure giocavano liberi nelle foreste, nei boschi e nelle rive dei laghi dell’Occidente. Ma una di queste, quella che molti definivano come una vera e propria leggenda, non veniva mai narrata nell’infanzia: si trattava di una storia antica come il mondo, vecchia come gli Alberi della Vita e millenaria come il cielo limpido.
Molti chiamerebbero pazzi i maghi e i vecchi maestri che inventavano altre storie nella storia: ma come potevano farlo? In fondo, di storia ce n’era una: lontana e, come se non bastasse, impossibile da raccontare per chi non avesse mai visto le montagne del Nord o rammentato le tradizioni dei Resath, le antiche e perdute anime di Alderon, la Terra Lontana.
Chiunque venisse a conoscenza di Alderon era uomo perduto, e per sempre, tanto smarrito rimaneva in quella landa di magia e beatitudine. Lì dove la pace aveva da sempre regnato, dove nei secoli avevano vissuto creature come gli elfi, i nani e i Dhales, per non dire degli gnomi, gli spiriti delle foreste, le dame dei laghi e soprattutto i draghi, del fuoco e dei ghiacci, creature talmente belle e fantastiche che le città elfiche, al cospetto della loro magnificenza, parevano null'altro che pietre arroccate nella solida massicciata delle montagne del Nord.

Di queste grandi creature ve ne furono sette, che costruirono i mondi, i continenti e i Regni Liberi: il primo, uno dei più grandi Signori dei Draghi, fu Alendol, seguito da Skarath Biancasquama, Bedard il Terribile e Robeal; poi, dopo le Grandi Guerre delle Razze in Alderon, si susseguirono i draghi dei ghiacci e della Luna, coloro che guidarono il popolo degli elfi e dei nani in Cairs Orfen, offrendo loro un posto nella grande storia di Avenstein: Bitchel Lingua Forata, Eldarin Barba di Fumo e, colui che diede un nome alle veglie antiche, Baradum il Meticoloso.
Per secoli gli elfi, i nani e i Dhales vissero nelle loro rocche di pietra, nei loro boschi nel Nord e nell’Ovest, seguendo la strada maestra e il sospiro del vento. Mentre ascoltavano, dalle ombre degli alberi, i canti dei loro popoli: 

Passa il sentiero d’erba,
celato all’ombra dell’Albero della Vita,
seguito dai lamenti della brezza gelida del primo vento del Nord,
dove il cammino, ancora sconosciuto, porta via ogni speranza.
Dai castelli nel cielo,
dalle montagne innevate,
dai sentieri scoscesi a valle,
il ruggito e il fuoco dei draghi illumina il cielo,
sferzandolo come una frusta sulla schiena.
Una ballata, solo una, in onore dei loro mondi: vendreilis drakorin bal’uthianel,
ciò che la morte non porta via,
dalle fiamme della notte.

Il corpo di Baradum il Meticoloso venne seppellito sui Colli di Ashert, nelle attuali campagne del Sud, dove venne eretta la più grande statua di quel tempo. Ad ogni viandante che passava per quella strada, come dal nulla, una grande, improvvisa folata di vento mostrava il sentiero per il reame proibito, la terra dove le guerre, la pace e l’armonia resistevano contro qualsiasi altra cosa. Anche se, per molti di coloro che consideravano quei trucchi solo la bravata di qualche stregone, in realtà erano cose veritiere: Baradum sopravviveva nei ricordi dei popoli, nelle torpide e secche giornate d’estate, nelle gentili e nei piacevoli sogni della primavera; nelle fredde e gelide giornate d’inverno, nella grande e immensa sapienza dell’autunno: un mondo dove, anche le creature morte, potevano avere un loro paradiso ancestrale nel cielo, una sorta di regno dei Draghi, una sorta di pace duratura. Il più grande dotto del tempo, ovvero Lyaendel Caryel, scriveva quello che aveva visto in un sogno:

I segreti del mondo sono talmente nascosti, che nemmeno i sogni sanno interpretare il loro messaggio. Forse, nei piccoli gesti quotidiani, riusciamo a stringere ciò che abbiamo di più caro al mondo, di più magico e lontano. Il più grande dei Signori dei Draghi, Alendol, mi ha insegnato questo. Se non fosse stato per lui, avrei continuato a vagare disperso in un fiume di parole senza senso, continuando a pensare che le ali di un drago non possano condurti da nessuna parte. E mi sbagliavo…

Molti altri maestri degli elfi dei Boschi delle Quattro Querce parlarono di Alendol, venerandolo, raccontando ai bambini delle sue magnifiche gesta nel cuore del mondo. I sospiri accennati, i sorrisi compiaciuti degli eleganti soldati in armatura, che partivano per assicurare la pace nei loro regni, si allargavano su ogni individuo, anche sul più meschino e crudele degli esseri, quando quelle storie uscivano dalle bocche aggraziate dei cantastorie: la grazia dei magici ed eroici draghi di quell’antica epoca, non venne mai dimenticata, non come la storia del principe dei nani, Than lo Scorbutico, che non sopportava affatto il Meticoloso per via del suo alito forte e alquanto sudicio. Ma questa era un’altra storia, molto più divertente di quello che un normale bardo potrebbe raccontare.
Negli anni che seguirono, dopo la caduta delle Grandi Pianure di Varyn, al confine con il mondo di Alderon, un ragazzo dei Dhales, conosciuti come gli uomini delle Nove Rune, scoprì una spada benedetta: essa venne chiamata con il nome di Sharath Uthan, ovvero: spada del Drago, poiché la sua spessa lama argentata fu forgiata dai fuochi di Eldarin Barba di Fumo, il terzo Signore dei Draghi e delle fiamme, nonché il primo drago ad aver cantato nella lingua Shaldin, il remoto elfico,  la canzone dei Fiumi della Vita, che veniva inneggiata dai maghi, dai druidi e dai Bildin Lostarin, i cavalieri degli elfi.

“Vidi un drago su una roccia, mio athyel. Non era un drago come gli altri, ma molto diverso, ecco.
Una sorta di… magia… insomma, non saprei come descriverla. Ma ricordo distintamente il nome di quella bestia: il suo nome era Skarath Biancasquama, colui che ci ha aiutato a trovare un posto in questo mondo. L’ho visto spegnersi come una torcia. Mentre saliva sopra il cielo stellato, come una sorta di freccia nell’oscurità.”

Molti elfi, nani e Dhales videro spegnersi altrettanti draghi: piccoli e deformi, ma pur sempre mastodontici e immensi, come i loro antenati. Uno di essi non nacque affatto, quindi venne spostato da Bedard il Terribile in un luogo solitario e angusto, una zona al di fuori da qualsiasi civiltà, nel quattrocento novantunesimo anno dopo il Sogno di Lyaendel.
Secondo le leggende, i draghi non nascevano solo dalle uova, ma dalle ceneri di altri loro simili; infatti, molti di loro, come lo stesso Baradum, crescevano e vivevano all’ombra di loro stessi. Uno di quei draghi, giovane e forte, come la tempra più dura della sua razza, era Drakon il Nebuloso, l’unico drago allevato, dopo anni di solitudine, dal centocinquantesimo re degli elfi del Nord, Aleyan della casata degli Andorìel, una delle poche famiglie ancora unite. Essa proveniva da Alderon, dalle Terre Lontane e dalle lande pure: una terra bellissima, stupenda. Dove ancora, nei boschi e nelle foreste buie, la magia sembrava echeggiare nell’aria purpurea e pungente di quella terra oramai sola e nascosta, come le Valli di Lingolen, in Alderon, oramai solamente un ricordo.
Per quanto riguardava Lingolen, gli elfi dimorarono lì per tutta la Grande Età, ma poi furono spinti ad oltrepassare gli alberi, trovando così Cairs Orfen quasi per caso: Baradum il Meticoloso li condusse attraverso una porta magica, che pensava fosse l’entrata in un altro regno, ma in realtà così non fu: percorsero per due settimane una radura immensa, continuando il loro cammino su una via tortuosa e impervia sulle montagne; incontrarono varie creature, ma molte di esse, a memoria di elfo, sembravano essere sconosciute a loro. Almeno la maggior parte, poiché non erano draghi, Dhales, nani, loro simili e tantomeno esseri malvagi: si trattava dei rinomati Oredeìl, uomini dei Sentieri Nascosti, che presidiavano l’entrata in Cairs Orfen e controllavano, da più di ottocento anni, il Passo degli Spiriti di Valduin, dove sorgeva, difatti, la montagna di Valduin.
Il nobile re degli elfi di Alderon parlò a lungo con il capo degli Oredeìl, rispettandone la volontà, anche se, secondo i nani, questa nuova terra sarebbe stata presto distrutta da una freccia nel cielo. Ma Alvel, il re degli elfi, non ascoltò le parole del re dei nani, Bustarbad Ascia di Fuoco, e oltrepassò la stretta strada, senza mai voltarsi indietro, con al fianco il Meticoloso e la sua gente, abbandonando così Alderon e il resto della sua famiglia.
Quando arrivarono in Cairs Orfen, gli elfi costruirono i loro primi insediamenti nel Nord, nell’Ovest, nell’Est e nel Sud; scoprirono anche il mare, dove ersero, sulle grandi coste di Ylan, i primi porti e le città mercantili di Balyan, Sharey, Skulben, Witeryal; invece, sulle distese di brina nel Nord, venne eretta Akyen, la capitale degli Andorìel e, sulle montane e impervie terre della Nebbia, la fortezza di Byrandin, la più grande delle Perle Elfiche degli Omencar.
Passarono altre epoche e altrettante ere, ma tutto quello che gli elfi ebbero furono solo sconfitte e privazioni. Da quando abbandonarono Alderon, mostri, orchi, goblin e Leshavin, condannarono la Casata di Andorìel alla rovina: il re Nalyn, primo del suo nome, giovane e sfrontato come qualsiasi cavaliere degli elfi, dichiarò guerra alle Macchie Nere. E vinse, conquistando onori e meriti, ma i suoi eserciti vennero quasi tutti distrutti.

“La sua voglia di conquista, il suo orgoglio e il suo egocentrismo ci hanno condannato. Ora saremo vulnerabili: tutto è perduto.”

Drakon il Nebuloso, che era ancora sotto il dominio del volere degli elfi, in Alderon aiutò i Dhales contro le bestie dei Sentieri Nascosti, aprendo le ali e volando oltre le montagne, cercando l’aiuto degli Oredeìl. Ma loro non risposero, poiché re Nalyn invase con le sue ultime truppe l’intero territorio di quella civiltà pacifica, spezzando il giuramento dell’Antica Alleanza a fil di spada. Per Drakon, in quell’epoca il Signore dei Draghi, fu solamente un tradimento voluto e perpetrato dall’essere più infido di tutti: re Nalyn, l’ultimo signore degli elfi, nonché l’ultimo degli Andorìel ancora in vita. Il pianto dei fuochi, dei bambini e delle povere vittime, anche fra gli elfi stessi, arrivarono nel cuore di Drakon il Nebuloso. Egli cercò, seppure invano, di ricostruire le vite degli Oredeìl, ma non ci riuscì. Nalyn aveva portato via anche quelle, sporcando di sterco il vessillo alato e mero della sua antica Casata. Ma una notte di inverno, quando le neve cadeva dal cielo rapidamente, come se fosse stata controllata da qualcuno, Drakon il Nebuloso sognò di essere stato chiamato dal primo Signore dei Draghi, Alendol:

“Non meritano di vivere nel mondo che abbiamo creato, Drakon. È arrivato il momento che loro siano distrutti per sempre, esiliati in una barriera dove nessuno di loro potrà mai uscire.”  
Il muso di Alendol, come le sue eterne ali e la sua immensa coda, brulicavano di una luce propria, immensa, cospargendo gli occhi rossi di Drakon di una meraviglia ancestrale.
“Il loro tempo è quindi concluso, mio Antenato? Il Supremo Signore ha deciso questo?”
Fu quella la domanda che fece ruggire l’Eterno Drago Alendol, il più saggio di tutti quanti gli altri Signori, nonché il più severo. Gli occhi blu zaffiro incontrarono quelli rossi di Drakon il Nebuloso: si fecero cupi, spenti e sognanti; il desiderio di rivedere il mondo, quel mondo che aveva creato era immenso. Ma oramai tutto era perduto.
“Fallo, non ti resta altra scelta. Le tue ali di fuoco daranno vita ad altre creature, molto più buone. Dobbiamo dare speranza anche a loro di vivere. Uccidi il re degli elfi. Ma se scapperà, dovrai distruggere le loro intere dimore.”

E così, quando il Nebuloso si risvegliò dal suo sonno, con la sofferenza nel cuore e delle lacrime appena accennate sugli occhi, batté le ali verso Cairs Orfen, oltrepassando le montagne e i Mondi Sconosciuti, finché non giunse nel Reame Nuovo. Il drago andò subito alla ricerca di Nalyn, desideroso assiduamente di condurlo alla morte; e quindi arrivò ad Akyen, dove sperava di incontrarlo e, come gli era stato ordinato, di ucciderlo. Ma lui non era ad Akyen: re Nalyn scappò verso delle isole sconosciute a Drakon, anche se egli morì di sua propria mano; la sua morte, secondo le leggende, fu a causa della sua nave che trasportava una quantità esagerata di oro, che affondò e non venne più ritrovata.
Un grande dotto di quei tempi scriveva:

Ed egli arrivò dal Nord, con le ali lucenti e il fuoco nei polmoni,
lo sguardo deciso e sicuro,
il petto in fiamme e gli alberi infuocati dietro di lui,
mentre Akyen era in cenere e i suoi abitanti carbonizzati.
Il drago della luce sta arrivando, il drago dei tempi finiti è qui.

La rabbia di Drakon era stata resa cieca dal potere di Nalyn, l’unico dei re degli elfi ad aver tradito il suo  sangue, lo stesso che avrebbero avuto gli ultimi rimasti della sua casata in Alderon, gli unici ancora salvi dal potere oscuro del Dio Sconosciuto.
Il lavoro di Drakon non terminò ad Akyen, poiché egli volò per tutta Cairs Orfen, distruggendo le dimore degli elfi, radendo al suolo i loro campi e uccidendo coloro che avevano tradito la sua fiducia: molti di loro si nascondevano, cercavano dei ripari e scappavano verso Nord, ma essi furono raggiunti e esiliati in una barriera magica, da dove non sarebbero mai più usciti. Discese nuovamente verso Sud, alla ricerca degli ultimi superstiti, ma, all’improvviso, le sue ali iniziarono a prendere fuoco. Mentre i suoi occhi rossi, a causa del fumo che si innalzava dalle città distrutte, si sciolsero, colando tra le sue fauci. E i suoi denti appuntiti si staccarono, battendo al suolo, trasformandosi in cenere. La luce di quel giorno divampò, ma non era il sole o qualsiasi altra cosa; in realtà, era la magia di Drakon e dei suoi resti, che presero fuoco. Finché dall’ombra di loro stessi, non fuoriuscirono delle strane creature fiammeggianti, simili a torce. Erano fiamme talmente intense che nessuno, nemmeno gli animali provarono ad avvicinarsi, poiché erano così potenti da spegnersi una volta giunta la primavera. Quelle  non erano creature elfiche, ma qualcos’altro: Uomini di Fuoco, gli stessi che presero il dominio di Cairs Orfen dal nulla, camminando, danzando e combattendo all’ombra delle ali di Drakon il Nebuloso e del mondo allora conosciuto. Senza mai sapere di Alderon e degli elfi. Dimenticando ogni loro origine, smarrendo il senso della fantasia.  

Così termina la storia dei Sette Draghi e di Alderon, la più conosciuta dai Desentarth e la più antica fra gli uomini.

3 commenti:

  1. Simone Lari: Un racconto “narrato molto bene” che mi ha fatto ricordare i miei esordi di scrittore, tempi in cui prediligevo la narrazione rispetto ai dialoghi diretti, cosa che, invece, è ora diventata il mio punto di forza. A livello di narrazione, mi è piaciuto molto, però avrei voluto vedere Nicholas alle prese anche con i dialoghi.

    Maddalena Cioce: Una storia estremamente valida, scritta in modo impeccabile dal punto di vista grammaticale e lessicale. È narrata come se fosse una leggenda (e mi pare di capire che sia una specie di introduzione al suo romanzo), quindi l’assenza di dialoghi ne smorza un po’ il ritmo, rendendone la lettura meno scorrevole. Un gran peccato, perché l’autore ha dimostrato di possedere buone capacità narrative e questa scelta, a mio parere, ne ha ridotto notevolmente il potenziale.

    RispondiElimina
  2. Mi Inchino alla bellezza di Racconto, è Superlativo! La Storia così Narrata, è eccellente, io stesso che scrivo Fantasy, non riesco a fare di meglio. Un suggerimento all'autore: Anche nel Prologo un minimo di Dialogo, lo ritengo indispensabile.

    RispondiElimina

Cerca nel blog