giovedì 5 dicembre 2013

Le interviste di Feather: Vera Q




Una strana stanza che sembra quella di un vecchio teatro.
Una finestra leggermente incrinata che non mostra nessun paesaggio oltre la sua struttura.
Una sedia sgangherata, che probabilmente ha visto tempi migliori, giace contro una parete rivestita da carta da parati di antiche fogge.
Un tavolo apparecchiato per il tè, con alcune tazzine scheggiate e vagamente gotiche, fanno da cornice ad una teiera paffuta e fumante.
Si apre una porta e due signore attempate, ma ancora arzille, entrano ridacchiando tra loro, mentre invitano una giovane donna ad accomodarsi al loro tavolo.
Alta, magra, flessuosa, entra con portamento regale, regalando alle sue ospiti, un sorriso cordiale.
Accetta di buon grado una tazza di tè, accomodandosi su una ampia poltrona di pelle, ornata di trine e merletti.
Un vecchio gatto nero le salta in grembo acciambellandosi sulle sue ginocchia.
Ho una sensazione di disagio nell’osservare le due signore, come un dejà-vu che mi arriva dal passato, come una storia ‘già vista, già letta.’
«Non beva quel tè!» mi scappa dalle labbra che sembra abbiano preso vita propria.
La donna mi guarda, mi sorride con una sottile ironia, dicendomi:
«Io amo il cianuro… Tu, no?»
Ho i brividi lungo la schiena, le ali mi si sono attorcigliate ai fianchi, quando mi rendo conto di essere al cospetto di Vera Q.
È lei, la signora degli aforismi e dall’umorismo macabro.
Quella che fa sembrare Natale come un raduno di vecchie comari, mentre Halloween diventa improvvisamente meglio di Pasqua e la Befana messi insieme.
E io sono qui per intervistarla.
Mi schiarisco la gola, tiro fuori la mia punti-pen e comincio con aria professionale a porle domande sul suo ultimo libro.
«Di buon auspicio come titolo: “Io sono morto”?»
«Mette subito allegria, lo so. Eppure era, ed è, il titolo perfetto per riassumere, senza fronzoli, la trama del libro.
Si muore, non è una novità.
Non vedo, quindi, perché farsene un cruccio.
E si muore più volte in attesa della fine con la “f” maiuscola.
Si muore quando ci fanno un sopruso. Si muore quando ci sentiamo inadeguati. Si muore quando accettiamo, passivi, che la vita ci viva.
Piccole morti quotidiane che ci prendono per mano fingendo di consolarci.»
Le sue parole sono piccole stilettate condite con un sorriso. Eppure, piccole, sante verità.
Le sorrido di rimando.
«È una cosa su cui ti piace scherzare, tipo per esorcizzarne il pensiero, o ne sei veramente convinta?»
Si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sospirando.
«Passi l'essere una rinomata amante del funereo, tasto sul quale mi diverte molto giocare, mentre in realtà sono soltanto una persona ironica. Amaramente ironica, magari. Ma di sicuro non mi assesto sull’indole cupa. Un grigio fumo di Londra, ecco! Amo le freddure, questo è quanto. Il lato capriccioso dell’esistenza m’intriga tantissimo. E non posso fare a meno di sorridere anche davanti alla morte. Certo, è un ghigno che è ben lontano dalla gioia, eppure non voglio darla vinta allo sconforto.
La vita, se presa sempre di petto, produce un eterno conflitto ed io non amo la guerra conoscendo bene la pace.»
La pace… grande utopia. Eppure meno male che c’è chi ci crede ancora.
«Il potere può toccare così tanto le persone anche dopo la morte?»
«Perché no? E se la morte fosse esclusivamente un altro piano della realtà? Un cosmo gemello alla Terra, fatto di burocrazia, bollette, regole, leggi da rispettare… brrrr.
Credi davvero che tale entourage sarebbe esente dagli sbruffoni?»
Immagini di burocrati scheletrici in doppiopetto che mi rincorrono dopo l’eterna dipartita, mi mette un’ansia tremenda.
Scuoto la testa e ritorno alla mia ospite.
«Che tipo di viaggio si inizia dopo il cosiddetto trapasso?»
«A questo posso rispondere io, se non vi spiace, visto che l’ho vissuto in prima persona. Piacere, PierPaolo Fabbris, protagonista di "Io sono morto"».
Un ingombrante uomo di mezza età, si fa posto tra le trine, lasciandosi cadere pesantemente su una delle sedie che scrocchia tenebrosamente sotto il suo peso.
«La qui presente autrice, mi fa intraprendere quel che si può definire un brutto trip: scoprire che non c'è pace neppure da defunti è stato indubbiamente un forte trauma. Ritrovarsi, poi, rinchiuso tra le solite quattro pareti domestiche senza più farne parte, ed essere spettatore dell'esistenza altrui che scorre, rincara la dose. Infine duettare, come pastura, con figure titaniche che si contendono la mia anima, beh... è un ovvio colpo di grazia.»
Il poverino mi sembra troppo provato, per cui, dandogli un ultima occhiata solidale, mi rivolgo a Vera, che continua a guardarlo con aria meditabonda.
«Desumo da tutto questo che tu sia atea…» mi azzardo a chiederle.
«Già, atea. Eppure questo mio aspetto esula dalla trama del libro. Descrivere il divino è un mero espediente per soffermarsi sull’uomo. Le sue paure, le speranze e soprattutto il suo vero essere. Fabbris è uno dei tanti morti “in vita” e scoprirà questo una volta deceduto. Gli dei mi sono serviti per delineare un paesaggio surreale: non entro certo nel merito della fede, né esprimo giudizi. Si sfocia nella sfera dell’intimo e del sentire. Ognuno ha il suo.»
Sono affascinata, devo ammetterlo.
Ma non posso lasciarmi sfuggire la possibilità di parlare dei due personaggi che mi hanno particolarmente stregato.
«Dio e Satana, in versione umana… pensi che lo siano mai stati, in realtà?»
Vera sorride, sorseggiando il suo tè.
«Questa è una domanda difficile. Non mi sono mai interrogata sulla vera essenza del Bene e del Male. Il mio mondo è fatto sì di bene e di male, ma è decisamente terreno. Ci sono uomini "buoni", così come uomini "cattivi": una rincorsa morale continua. I miei personaggi hanno tutti una connotazione umana. Quindi, anche i miei “divini” non sono esenti da difetti.»
«E Fabbris? Non pensa di averlo bistrattato, traumatizzato, che non si sia rilassato manco ‘dopo morto’?» chiedo con una punta di sarcasmo.
«Quest'arpia non mi ha risparmiato nulla!»
Lo spettro fluttua per la stanza saettando furioso. Frattanto, sollevata la mano destra, s'appresta a rafforzare le sue fosche convinzioni. Inquietudini tutt'altro che immotivate.
«Primo - alza il pollice - mi ha seccato all'età di cinquant'anni!. Secondo - drizza l'indice, stizzito - ho un'autonomia di appena trentatré passi, ne consegue che - ora il medio svetta in un gesto che lascia poco spazio ad interpretazioni cavalleresche - come terza pena, non posso varcare la soglia di casa!»
Si sofferma ad osservare le signore, irriverente, non lesinando smorfie varie ed eventuali.
«Quarto - adesso l'anulare s'accoda agli altri fratelli - mi ha regalato una splendida solitudine privandomi di ogni interazione sia con i vivi che con i morti. Ed infine - liberato anche il mignolo - mi ha affibbiato, come migliori amici, un plotone di divinità tese a farmi un'ulteriore festa! Strega, vecchia strega!»
Vera per nulla toccata, lo guarda, sfoderando un sorrisino diabolico.
«Ma alla fin fine, esiste il paradiso? O ‘nulla è come sembra’?»
«Ora vuoi sapere troppo... Non posso svelare questa informazione saliente. Sarai costretta a leggere tutto il libro per scoprire di più!»
Ma io ho letto il libro. Altroché! … E, che speravo, di farle dire qualcosa di più, soprattutto per voi, miei poveri lettori.
«Il tuo modo di scrivere ha mordente, surrealismo, una vena di nichilismo. Quindi perché usare a volte citazioni, quando di tuo riesci già a coniare un timbro personale che non necessita di rimandi?»
«È inclinazione personale. Divoro i saggi e quelli con milioni di note! Ho scoperto piccoli gioielli soffermandomi nel leggerle. Io spero solo di incuriosire. Se menzionando un titolo di un film o di un libro metto qualche pulce nell'orecchio, lo faccio per invitare il lettore a cercare un approfondimento. La curiosità è sempre la benvenuta, in qualsiasi campo. Ed "Io sono morto" è un mio personale omaggio al genere horror, genere che adoro.» confessa con una nota di candore.
Da non credersi…
Nel frattempo il ‘Pierpa’ ci ha lasciate, facendo mulinare le trine, scomparendo dietro un arazzo mezzo sbilenco, appeso al muro.
Mi appresto ad accomiatarmi dalla mia ospite, che da una capiente borsa, prende una scatola rossa, completa di fiocco di raso nero, e me la porge.
«Per te.» dice con un sorriso soddisfatto. «In ricordo del nostro incontro di oggi.»
Sono estasiata: nessuno mi regala mai nulla a fine intervista. A patto forse qualche segnalibro od opuscolo per libri di prossima uscita.
«Grazie. Sono lunsingata… Cosa sono?»
«Cioccolatini. Li ha preparati la mia ‘amica’ Silvia.»
La saluto con calore, stringendole la mano e mi allontano verso la scala.
All’improvviso, ho un attimo di deja-vù e la cosa mi lascia in un incredibile gelo. Perché il connubbio ‘cioccolatini’ e ‘Silvia’ mi procura un brivido alla schiena?
Credo proprio che potrete scoprirlo solo leggendo anche i precedenti libri della signora Vera Q.
Io intanto volo più lontana possibile a scoprire che almeno il sole, quello vero, quello caldo, è ancora lì ad illuminare la mia solita vita.




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