Legendary Fantasy Contest!
Scacchi
Alla vista dell’amena radura che si era spalancata all’improvviso tra la densa vegetazione della foresta conosciuta come Bosco Intricato, Giovannarturo Cuore ardito di Rocca Alta non riuscì a trattenere un lungo sospiro di sollievo. Un’espressione assai poco consona a un nobile cavaliere errante par suo, ma più che giustificabile dopo tre ore di cavalcata tra alberi e cespugli così abbracciati tra loro da richiedere talora l’intervento della lama di Zanna bianca, la sua spada, per aprirsi il cammino.
Con un
agile volteggio smontò dalla massiccia sella che coronava la possente groppa di
Fulmine di battaglia, il fedele destriero,
e si stirò le membra indolenzite, esibendo senza remore una voluttà ancor più
indecorosa.
Una
puzza esecrabile di orina fetida gli straziò le narici: sgradevole ricordo
della Viverna che si era ostinata a bloccargli il passaggio su un accenno di
sentiero. Per fortuna al bordo del praticello fiorito gorgogliava con
esuberante allegria un rivo la cui acqua fresca attirò il giovane ventunenne
come il miele ammalia le api. Una lunga bevuta, una lavata all’armatura
d’acciaio, quindi si sdraiò sull’erba, la schiena appoggiata alla corteccia di
una quercia forse millenaria, lasciando che fosse il sole ad assumersi il servile
compito di asciugare la corazza. Strappò un delicato fiore azzurro e si mise a
succhiarne meditabondo lo stelo intanto che la mente si avventurava in lande
piene di vergini da salvare e draghi da trafiggere con la lancia.
«Ti ha
mai detto nessuno che sei un grande maleducato?». La domanda posta da una voce
calda e sensuale eppure vibrante d’illibata innocenza lo colse di sorpresa. Si
rizzò seduto di scatto, la mano già pronta sulla tiepida elsa dell’arma.
«Scusa.
Non era nelle mie intenzioni spaventarti» continuò la voce sfociando in una
sommessa risata dal timbro infantile.
Gli
occhi concentrati in un rapido giro del ristretto orizzonte boscoso della radura,
Giovannarturo esclamò fiero: «Non è così facile incutermi paura. Piuttosto,
orsù, mostratevi, così che io possa vedere in volto chi ho involontariamente
offeso».
Un
fruscio appena percettibile alla sua destra ed ecco che davanti ai suoi occhi apparve
una giovane donna… Beh, no. Era di certo una creatura di sesso femminile, ma
non una donna. Alta, snella, capelli color dell’oro lunghi sino alla vita,
orecchie deliziosamente appuntite, ricoperta da un velo che partiva appena
sopra il piccolo seno e finiva neppure a metà coscia, per giunta sottile quanto
una ragnatela – unica concessione al pudore alcune corolle rosse inserite nei
punti strategici –, la pelle irradiava un’ipnotica luminescenza magica.
Impossibile sbagliarsi: era una Sidhe, un’appartenente al Popolo delle Colline.
Il
cavaliere si mise subito in piedi e omaggiò la nuova arrivata con un profondo inchino
presentandosi: «Giovannarturo Cuore
ardito di Rocca Alta al vostro servizio, madamigella».
L’elfa
rispose con un’aggraziata riverenza e un pizzico d’ironia nella voce dalla sonorità
cristallina: «Bláthnaid… e basta, cavaliere».
Imbarazzato,
il paladino chiese: «Di grazia, madonna, perché mi avete definito maleducato?».
«Semplice,
mio baldo guerriero» spiegò la ragazza inasprendo di colpo il tono che vibrò saturo
di minaccia come un temporale che rotola sulle cime dei monti. «Siete entrato
in casa d’altri privo di acconcia permissione e avete agito irriguardosamente,
uccidendo chi non vi aveva cagionato alcun danno».
Giovannarturo
si guardò intorno, l’espressione ebete e stupefatta, poi comprese di colpo:
«Abitate in questa radura? E intendete riferirvi al fiore che ho masticato?».
«Sì a
entrambe le domande» confermò dura Bláthnaid. «In base alle nostre leggi potrei
trasformarvi tosto in qualcosa di estremamente disgustoso, tuttavia siete un
bel giovanotto e mi dispiacerebbe che trascorreste il resto della vostra vita
nella pelle di un brutto rospo». Le labbra sottili dell’elfa s’incresparono in
un risolino divertito nell’udire il cavaliere deglutire rumorosamente, quindi costei
lo interrogò: «Sapete giocare a scacchi?».
Il suo
interlocutore avvertì un brivido gelido strisciargli lungo la schiena, spalmandola
di uno spiacevole strato di sudore gelido. Conosceva a malapena le usanze dei
Sidhe, tuttavia era ben nota a tutti la loro passione e abilità nel gioco degli
scacchi. In ogni modo, era comunque una possibilità di scampo e si aggrappò a
essa come il naufrago che affoga alla trave che galleggia. Annuì.
«Benissimo!»
esclamò la creatura battendo felice le mani affusolate. «Allora accomodiamoci e
diamo inizio alla tenzone».
Il
tempo di accoccolarsi sul prato e una scacchiera apparve per magia nello spazio
che separava i due contendenti. I pezzi non erano i classici cui era abituato,
si accorse con sconcerto Giovannarturo: quelli di Bláthnaid raffiguravano,
infatti, personaggi o membri della sua razza mentre a lui era toccato un gruppo
assortito di mostri, alcuni a lui ignoti, le cui capacità di movimento
ricostruì in base alla posizione assunta sulla tavola da gioco.
«Pronto?»
chiese la sua avversaria.
«Pronto»
rispose, ostentando una sicurezza che era ben lungi dal provare.
L’elfa
avanzò uno gnomo, il paladino contrappose un goblin. Dopo la quinta mossa, la
Sidhe commentò con una lieve sfumatura di rimprovero: «Mi state copiando,
messere».
Era
vero, ma il cavaliere si schermì: «La vostra è un’apertura classica, madamigella:
le mie sono le contromosse codificate».
La
ragazza lo squadrò con occhi verdi come un prato a maggio e scosse la testa con
compatimento.
Alla sedicesima
mossa, un terzo dei pezzi già eliminati dai nemici, Giovannarturo comprese di
non avere la minima speranza di vincere: un tragico destino da rospo lo attendeva.
In un estremo tentativo di difendere l’ammasso gelatinoso che rappresentava il
suo re, indietreggiò la statuina di un Minotauro. Il corrispettivo della Torre,
ahimè, gli scivolò tra i polpastrelli umidi per la tensione e, dopo aver
ruzzolato sui quadrati bianchi e neri, cadde per terra.
Nel
mentre che allungava la mano per raccoglierlo, un’espressione d’imbarazzo sul
viso scarlatto, un muggito lacerante squarciò l’aria: «Libero!». Allibito, i
suoi occhi sgranati assistettero alla trasformazione della miniatura che crebbe
di dimensioni sino a diventare un essere possente, alto più di due metri, le corna
aguzze come lance e sbuffi di fiato emessi da froge che ribollivano di frenesia.
«Grazie,
uomo, per avermi sciolto dall’incantesimo che m’imprigionava. Per mostrarti la
mia gratitudine ti divorerò dopo che mi sarò sbarazzato di questa perfida strega!»
furono le parole cavernose che uscirono da una bocca irta di denti che
brillavano sinistri.
Il
Minotauro mosse un passo verso Bláthnaid che, nonostante l’accadimento imprevisto,
stava già lanciando un sortilegio protettivo. Un rabbioso manrovescio della violenza
di un ciclone mandò la ragazza a volare lunga distesa a qualche metro di
distanza. Un debole gemito di sofferenza seguì al brusco atterraggio.
«Sono
trecento anni che aspetto questo momento, maledetta sgualdrina!» mugghiò eccitato
l’essere dalla testa di toro, accostandosi al corpo semisvenuto. «Non vedo
l’ora di affondare le mie zanne nelle tue carni morbide e gustare il sapore
caldo del tuo sangue».
«Fossi
in te, ci penserei due volte, bestiaccia!». La voce gelida risuonò dietro le
spalle muscolose del mostro.
Costui
voltò il capo con deliberata lentezza e guatò il guerriero che, spada sguainata,
lo sfidava. «Non t’intromettere, uomo! Potrei anche decidere di lasciarti in
vita se le carni di questa malvagia fattucchiera mi sazieranno a sufficienza»
ammonì cupo.
«Montjoie!
Sant’Eufrasto! Ch'io perisca se non aggredisco!». Il veemente grido di
battaglia di Giovannarturo fu la risposta.
Un urlo
belluino e il Minotauro si scagliò contro il cavaliere che, schivato con agilità
l’assalto, ferì l’avversario a un braccio peloso. L’obbrobrio cornuto lo colpì a
sua volta con una zampata che se non gli staccò di netto la testa dal collo fu
soltanto perché riuscì a schivarla parzialmente con un salto all’indietro. La
botta lo raggiunse comunque a una spalla che ne rimase intorpidita. Scrutandosi
torvi, i due contendenti si presero un attimo per valutare la situazione: entrambi
conclusero che il rivale era più agguerrito del previsto.
Dopo
qualche minuto di girotondi a vuoto e inutili scambi di attacchi e parate, il
mostro sbuffante propose: «Tregua».
Ansimando
per la fatica, il paladino acconsentì. «Com’è che sei finito su quella scacchiera?»
chiese poi, tanto per intavolare una forbita conversazione durante la pausa.
«E’
presto detto. Me ne camminavo tranquillo per la foresta pensando ai fatti miei
quando quella là è sbucata all’improvviso fuori da un cespuglio blaterandomi
contro: Mi serve un pezzo per giocare a
scacchi. Do chorp tar d'anam istigh
ficheall!... PUFF!... Un attimo dopo ero diventato una statuina vivente in
mezzo a tante altre».
«Vuoi
dire che anche gli altri pezzi sono?…».
«Sì.
Persino quelli della sua stessa razza. Sembra una bella ragazza, dall’aspetto
fragile e innocuo, in realtà è una maga scellerata che ha più di mille anni!...
Beh, io sono pronto per ricominciare a battersi».
Giovannarturo
era in procinto di rimettersi in guardia quando il suo stomaco brontolò per la
fame: era dalla sera prima che non mangiava nulla. Un folle pensiero gli balzò
in capo. «Senti, così, per curiosità: la carne di Sidhe è commestibile per noi
esseri umani?».
Due rotondi
occhi bovini lo fissarono perplessi, poi l’equivalente di un compiaciuto sogghigno
arricciò le grosse labbra scure del Minotauro: «Mi chiedi se è commestibile?
Per De-da-loth! Chi di voi l’ha assaggiata arrosto sostiene che è più saporita
e succosa di quella di un cinghiale bello grasso».
«Allora
sai che ti dico? Tu fai quello che devi con lei, io nel frattempo vado a raccogliere
la legna per il fuoco» concluse il cavaliere, massaggiandosi la spalla
dolorante. «Oltretutto mi voleva trasformare in un batrace».
Simone Lari: Una partita a scacchi (come anticipa il titolo) piuttosto particolare. Forse mi sarei aspettato un finale e un dialogo di chiusura un po’ più di effetto, comunque non male.
RispondiEliminaMaddalena Cioce: Un racconto molto particolare. Discretamente corretto, anche se scritto utilizzando alcune forme auliche (per rendere l’effetto “cavaliere d’altri tempi”) che hanno un po’ appesantito i dialoghi. Ho apprezzato molto il finale non convenzionale, che mi ha fatto morire dalle risate.