La sovrastruttura del
ritmo. Dell’ariete e del clifhanger.
Buongiorno, sono Walt
Popester e sono qui per parlarvi dell’importanza del ritmo nella narrazione.
Osserveremo la faccenda in maniera macroscopica andando a guardare la sovrastruttura di una storia, in questo
caso un romanzo, e vedendo di volta in volta gli errori che è meglio non
compiere e gli espedienti che vengono in nostro soccorso.
Entriamo subito nel vivo
dell’argomento perché è proprio questo il primo consiglio: entrare subito nel
vivo. Spesso si sente un nuovo aspirante, e presto aspirato, autore dire: “Ho
iniziato il mio romanzo con sole duecentoventordici pagine riguardo gli usi et
costumi del popolo di fracic-landia, delle loro ciclo delle stagioni, del loro
sistema economico e, per la gioia del lettore, anche dei suoi dèi. Ma non ti
preoccupare, a pagina seicentoventiquaranta ho messo una bella scena d’azione!”
Esiste un modo peggiore
per iniziare un romanzo, ben inteso, nel tempo che stiamo vivendo?
Probabilmente no. Equivale a intitolare il romanzo: ‘NOIOSO NON LEGGETE by
Silvano Cheppallibus’.
A mio modesto giudizio
sono passati i tempi de Il signore degli
anelli dove potevi impiegare etti di pagine a inizio libro per descrivere
la contea, gli hobbits e tante altre belle cose. Adesso sa di già visto e i lettori ti
molleranno, almeno quelli che non sono legati a voi da sentimenti di affetto e
amicizia (e hanno tutte le loro ragioni) anche se solo per il fatto che non
state facendo nulla di nuovo a differenza del più celebre esempio.
Non mi stancherò mai di
dire che le prime pagine del vostro scritto sono quelle con le quali instaurate
un rapporto con il lettore; se il lettore non lo prendi lì, lo hai perso. Non
annoiatelo, non lì, non chiedetegli di seguirvi fino a metà libro dove forse accadrà
qualcosa degno di essere ricordato. Se siete un esordiente al vostro primo
romanzo, questa regola va moltiplicata per otto.
Stupite il lettore e
fatelo subito. Avete una scena che toglie il fiato? Mettetela a inizio libro.
Voi dite: “Ma come faccio? Non c’entra niente con l’inizio della storia!”.
Non importa: trovate un
modo e mettetela a inizio libro.
“Aspetta, aspetta: prima
ci sono tante cose da spiegare, non capisci, non posso arrivarci così! Devo
spiegare il mito che porta alla nascita del fondatore della città che produce
il tipo di vino che sta bevendo il protagonista all’inizio del romanzo.”
Non importa, mettete
quella dannata scena a inizio libro. Trovate un modo, siete scrittori, vi
paghiamo per trovare un modo! Annoiare il lettore è la più grande idiozia che
possiate fare.
Dicesi infatti ariete
quella scena iniziale che sfonda il muro asettico posto dalle pagine del libro,
per portare il vostro fiume di parole dritto nella mente del lettore e
invitarlo a seguirvi per il resto del viaggio. Una battaglia, un duello, un
ragazzino che ‘gli ammazzano i genitori davanti agli occhi’, una nave che
affonda, uno stupro, un’esplosione, un omicidio, o anche semplicemente un
dialogo surreale o la descrizione di un luogo surreale (castelli fiabeschi e foreste
incantate non valgono). Esistono ottimi esempi in qualsiasi campo, dalla scena
iniziale di A Game of Thrones,
peraltro molto descrittiva, al dialogo iniziale di Do androids dream of electric ship di Philip Dick, al matrimonio de
Il padrino o quel capolavoro
piratesco di On stranger tides di Tim
Powers. Giocatevi le vostre carte lì, questo vi darà la possibilità di
bilanciare lo scritto e prendervi il vostro tempo in seguito per parlare, se
proprio dovete, del ciclo delle stagioni di frappalandia.
Questo era l’inizio. Poi,
come succede spesso, dopo l’inizio viene il resto (cit. Favio Bolo). Come
mantenere alto il ritmo? Per quanto riguarda la voce narrante si potrebbe
parlare a lungo: l’uso del sarcasmo, la gestione dei punti di vista, l’uso
sapiente della volgarità, della violenza o delle scene di tenerezza. Per quanto
riguarda i contenuti, si potrebbe invece parlare dell’elemento esotico, quello
che fa la differenza tra il ‘già letto’ e il ‘uhm, guarda un po’ qui!’ nella
mente del lettore. Potrebbero essere scritti libri solo al riguardo mentre noi
stiamo osservando la sovrastruttura, l’impalcatura del romanzo.
Riguardo quest’ultima,
qualsiasi cosa accada evitate il MONOBLOCCO. Alternate. Pensate all’etimologia
stessa di monotonia: mono, tono. Un singolo tono. Per farlo, ci vengono in
aiuto concetti e parole usate nella sacra arte dello ‘sceneggiare’. Non temete
di guardare una fiction o persino una soap. Qui non parliamo di qualità, ma di
struttura. Non abbiate paura di sporcarvi le mani e imparare termini come
‘linea comica’ ossia quell’insieme di scene leggere da mettere nel mezzo di
altre più pesanti, essenziale nelle soap (prendete Un posto al sole). Oltre a spezzare il tono e far riprendere fiato
al lettore, in un romanzo sono proprio queste scene che possono aprirvi la
strada al ‘colpo di scena’: pensate infatti a un personaggio di una linea
comica che poi scopre di essere seriamente malato o subisce un incidente o
perde una mano o scopre che la moglie lo tradisce o perde il lavoro o diventa
un alcolizzato! Vi sarete preparati il set per una scena memorabile.
E cosa dovete fare in
quel momento? Sistemare le luci e vedere fino in fondo dove porta questo
frangente? Assolutamente no. Staccate, interrompete e passate ad altro: avete
stuzzicato la curiosità del lettore ed estinto la sua sete di colpi bassi, non
infierite. Uno dei trucchetti che infatti imparerete, dopo aver visto un cinque
o sei puntate di una soap (e se siete sopravvissuti per raccontarlo) è il cliffhanger.
Non sto parlando del celebre film con Stallone (che, a proposito, contiene una
delle migliori scene ariete che io ricordi, anche se preferisco la versione di
Jim Carrey in Ace Ventura), sto parlando di quell’espediente in cui la
narrazione si conclude con una interruzione brusca in corrispondenza di un
colpo di scena.
Vi sarà capitato,
leggendo, di incontrare diversi esempi di questo modus operandi: siete lì,
caldi, pronti a conoscere tutta la storia dopo la rivelazione e... vi ritrovate
di colpo a seguire un personaggio a cavallo, tranquillo, che avanza verso le
mura di una città. Ovviamente in quel momento non lo sapete, e sarete anzi
piuttosto arrabbiati, ma questo è l’unico modo per dosare l’attenzione.
Raccontare subito cosa succede al personaggio della linea comica, dopo che
scopre che sua moglie è morta, è il modo migliore per bruciarsi la storia e, di
nuovo, rischiare di annoiare il lettore.
Anche perché sicuramente
il personaggio che adesso sta avanzando verso le mura cittadine, cavalcando
placidamente, è inseguito da una donna il cui volto è coperto da un cappuccio.
A fine capitolo, le farete calare il cappuccio affinché possa rivelare: “Sono
tua madre, non sono morta come tuo padre ti ha sempre raccontato”.
E Zac. Passate ad altro.
Scritto da Walt Popester. Da’ un’occhiata qui: http://tinyurl.com/Walt-Popester-Dagger
Nessun commento:
Posta un commento